Casa natale di Luigi Mercantini
Primo di nove figli, nacque a Ripatransone il 19 settembre 1821 da Domenico, segretario del vescovo vicario di Ripatransone, mons. L. Ugolini, e da Barbara Morelli.
Nel 1824, in seguito al trasferimento di Ugolini a Fossombrone, vi si stabilì con la famiglia e, all’età di dieci anni, entrò in seminario. Fattosi ben presto conoscere in paese per la sua attitudine letteraria, fu preso a benvolere da F.M. Torricelli che, oltre a guidarlo nella lettura della Commedia dantesca, contribuì alla sua formazione classicistica. Altri letterati legati alla scuola di V. Monti e G. Perticari, quali F. Cassi, G.I. Montanari e G. Marchetti, lo apprezzarono fin dalle sue prime prove poetiche, componimenti d’occasione apparsi in opuscoli, giornali e fogli volanti.
Iniziato ancora seminarista alla predicazione sacra al fianco di mons. Ugolini, il M., che non nutriva grande propensione per il sacerdozio, nel 1839 tentò invano la via dell’insegnamento presso le scuole pubbliche di Fossombrone, ma il posto al quale aspirava fu assegnato ad altri.
Nel 1841 abbandonò il seminario e fu chiamato a ricoprire un incarico temporaneo presso la Biblioteca comunale B. Passionei di Fossombrone, per poi dedicarsi all’insegnamento. Dopo la nomina a professore interinale di umanità e retorica nella pubblica scuola superiore di Arcevia, il M., grazie all’interessamento del cardinale F. Sceberras Testaferrata, si trasferì a Senigallia (1842) per insegnare eloquenza, dapprima nel seminario e due anni dopo nel nuovo ginnasio municipale.
Il M., agli esordi del pontificato di PioIX, del quale era convinto sostenitore, intraprese un’intensa attività politica nell’ambito del movimento liberale senigalliese. Nel 1847 perse la moglie Anna Bruni, sposata due anni prima. Divenuto ufficiale della guardia civica, nonché segretario del circolo popolare senigalliese, il M. dovette prima fronteggiare i violenti disordini cittadini causati dalla delusione per l’allocuzione papale del 29 apr. 1848, quindi, nel giugno del 1849, unitosi ai volontari del battaglione civico mobilizzato della provincia di Pesaro e Urbino, prese parte alla difesa di Ancona assediata dagli Austriaci.
Nonostante il fervore politico degli ultimi anni vissuti a Senigallia, il M. non trascurò la letteratura, attenuando il rigore classicista e colto dei suoi versi per inaugurare una produzione più popolare, in linea con un ideale pedagogico che attribuiva alla poesia una funzione didascalica e divulgativa. Ne è attestazione l’Inno di guerra (1848), musicato da G. Zampettini e poi diffuso tra i volontari italiani nella campagna del Lombardo Veneto e nella difesa di Venezia. A partire da questo componimento il M. accompagnò con le sue liriche le vicende del Risorgimento, dando alla sua produzione un orientamento patriottico e divenendo così uno dei principali esponenti di questo genere di poesia.
Con la capitolazione di Ancona il M., per non incorrere nella repressione austriaca, decise di lasciare l’Italia. Si fermò dapprima a Corfù, dove conobbe tra gli altri esuli D. Manin, e poi a Zante (1850): qui, mentre per vivere dava lezioni private, videro la luce le sue composizioni (Canti, Corfù 1849 e Zante 1850). Dopo aver trascorso un mese a Malta, nel 1852 passò a Torino, sotto altro nome e con un passaporto inglese. Dato l’ingente numero di rifugiati politici presenti in Piemonte, ebbe difficoltà a trovare un’occupazione stabile, vivendo di collaborazioni a giornali e di lezioni private. Tuttavia poteva confidare nell’appoggio delle nuove conoscenze: strinse infatti amicizia con L. Valerio, T. Mamiani, N. Tommaseo e G. Prati, prese a frequentare il salotto di Angelica Palli Bartolomei e aderì alla Società dell’emigrazione italiana, divenendone segretario generale (1854). Anche la produzione poetica giovò al M. in termini di fama, come attesta il poemetto epico-lirico Tito Speri (Torino 1853), dedicato al martirologio di Belfiore e apprezzato anche da A. Rosmini.
Di lì a poco il M. vide consolidarsi la sua posizione di docente e, dopo incarichi a Torino e nei dintorni, nel 1854 si trasferì a Genova per insegnare, grazie alla segnalazione di Mamiani, italiano e storia presso l’istituto italiano di educazione delle fanciulle, meglio noto come collegio delle Peschiere. Tale incarico gli consentì di tornare al ruolo a lui caro di educatore, e inoltre gli fornì l’occasione per conoscere l’insegnante di musica Giuseppina De Filippi, che sposò nel 1855 e con la quale condivise la direzione dell’istituto (1858). Quasi a integrare l’impegno presso il collegio, prese a collaborare dal 1855 con La Donna, settimanale genovese rivolto alla formazione delle giovani, di cui nel 1856 divenne direttore.
Politicamente attivo anche durante il soggiorno ligure, il M. partecipò assiduamente alle riunioni dei comitati degli esuli, fungendo da tramite tra quelli di Genova e Torino, dove era coadiuvato dall’amico A. Fabretti. L’ambiente in cui si muoveva era anche quello che ne alimentava la vena poetica: così, dopo aver cantato il Supplizio di Agesilao Milano, nel 1857 dedicò all’infausta spedizione guidata da C. Pisacane La spigolatrice di Sapri, che gli valse una notorietà legata soprattutto alla facile immediatezza dei versi.
All’effetto di spontaneità, il M. seppe coniugare la grazia, frutto di una solida preparazione umanistica, costruendo un componimento equilibrato che andava dall’asciutta esposizione dell’esordio al lirismo della testimonianza della narratrice, per concludersi infine con le tinte forti della battaglia. Così stilizzata, la figura di Pisacane assunse i tratti di una leggenda.
Seguirono altri componimenti di successo: Il buon capodanno del pellegrino italiano (1858), La madre veneta e Un soldato in congedo, poemetti ispirati dall’armistizio di Villafranca del 1859, e più noto di tutti, l’Inno di Garibaldi, commissionato sul finire del 1858 dallo stesso generale e musicato da A. Olivieri. Sottoposto in prima stesura all’amico A. Bertani e inizialmente intitolato Canzone italiana, l’inno fu pubblicato dall’editore T. Ricordi (Milano 1861) con alcune strofe finali aggiunte dall’autore dopo la spedizione dei Mille.
Nel 1860, recatosi a Bologna insieme con una deputazione marchigiana per accogliere Vittorio Emanuele II, il M. lesse una sua ode, Gli sproni d’oro al re d’Italia, composta su invito dei patrioti conterranei, che gli valse l’apprezzamento di C. Benso conte di Cavour e dello stesso sovrano. Da allora il M., avvicinatosi alla Società nazionale italiana, ammorbidì le sue posizioni repubblicane in nome dell’Unità d’Italia e, tornato a Genova, intervenne per via epistolare non solo a favore della liberazione delle Marche, ma anche tentando una mediazione nel dissidio tra il Partito d’azione e la Società nazionale.
Con l’annessione delle Marche al Regno, il M. vi fece ritorno in qualità di segretario di L. Valerio, commissario straordinario della regione, che lo scelse come collaboratore alla riforma amministrativa. Fu inoltre il primo direttore del Corriere delle Marche, quotidiano liberale fondato nel 1860.
Pochi mesi dopo, privilegiando come sempre l’insegnamento, il M. lasciò Ancona per stabilirsi con la famiglia a Bologna, dove, per iniziativa del ministro della Pubblica Istruzione Mamiani, ebbe l’incarico di professore di storia ed estetica all’Accademia di belle arti, cui poi si aggiunse quello di docente di storia moderna all’Università (1862). Ben accetto a Bologna fin dal suo arrivo, il M., sempre più conosciuto grazie al successo dei suoi corsi, frequentò assiduamente il salotto della contessa Maria Teresa Serego Alighieri, fu socio e poi segretario della Deputazione di storia patria per la Romagna, venne affiliato, pare, alla massoneria e strinse amicizia con G. Carducci, suo collega nell’insegnamento.
Nonostante le sue deboli ambizioni politiche, nel 1861 fu eletto deputato a Fabriano per l’VIII legislatura, la prima del Parlamento italiano, ma, data l’incompatibilità tra il mandato parlamentare e la qualità di professore, preferì vedersi annullare l’elezione piuttosto che rinunciare all’insegnamento.
Nel 1864 il M. ripubblicò i suoi Canti (Bologna), riunendo gran parte della sua produzione poetica, a eccezione di alcuni componimenti anteriori all’esilio, originariamente apparsi in fogli volanti o in opuscoli difficilmente reperibili.
Avendo ricevuto dal ministro della Pubblica Istruzione G. Natoli il decreto di nomina a professore di letteratura italiana presso l’Università di Palermo, il M. nel 1865 si trasferì in Sicilia, presentato da una lettera di G. Garibaldi ai patrioti palermitani, dai quali fu accolto calorosamente. Presto si integrò nell’ambiente cittadino, entrando in rapporto, fra gli altri, con E. Albanese, G. Medici e R. De Benedetto, e ritrovando G. Camozzi, amico dai tempi di Genova e comandante della locale guardia nazionale. Nel 1870, il M. divenne docente di letteratura nel regio educatorio Maria Adelaide di Palermo, per essere di lì a poco nominato provveditore agli Studi. Il carattere pubblico dei suoi incarichi lo costrinse nel 1869 ad assumere solo ufficiosamente la direzione del quotidiano La Luce, caratterizzato da un forte sentimento anticlericale.
Anche se in via di esaurimento, non venne tuttavia meno l’impegno in campo letterario, come attestano, fra l’altro, La fidanzata di un marinaio della Palestro (1866), lirica dedicata alla sconfitta di Lissa, e l’Ezzelino (Palermo 1868), traduzione italiana di Ecerinis di A. Mussato, tragedia medievale di stampo senechiano in versi latini, basata sulle vicende di Ezzelino da Romano. Nel 1885 fu pubblicata a Milano una nuova edizione dei Canti… con l’aggiunta di molte poesie inedite e un discorso di G. Mestica.
Il M. morì, a causa di un’infezione tifoidea, il 17 nov. 1872 a Palermo, dove fu tumulato.