In questo celebre estratto, il marchese Filippo Bruti Liberati per la prima volta descrive cosa è veramente successo quel 10 maggio del 1682, data fondamentale della storia ripana in cui nacque il Cavallo di Fuoco; sicuramente è questa, insieme al 1205, anno di costituzione in Libero Comune, una delle date più importanti della memoria di Ripatransone perché sancì l’esordio di una manifestazione che nei secoli è indubbiamente diventata il simbolo della festa per antonomasia in questa città. Il Cavallo di Fuoco è quindi una realtà ineliminabile del proprio passato e il simbolo concreto dell’immutabilità delle tradizioni.
Era dunque la domenica in albis del 10 maggio 1682 quando questo abile fuochista, chiamato in occasione dell’incoronazione del simulacro della Madonna di San Giovanni, dopo aver concluso il suo lavoro, con tutto ciò che gli rimaneva, improvvisò uno spettacolo in sella al suo cavallo; la gente radunata in piazza gradì a tal punto che seguì un lungo e intenso applauso che accompagnò l’uscita dal paese di questo anonimo fuochista. Ciò che accadde entusiasmò molto i ripani così che l’anno successivo alcuni cittadini, memori di ciò che era accaduto, rievocarono il fatto. E così nacque una lunga tradizione destinata a non scomparire mai più. Molto probabilmente fino al 1700 circa si continuò a rievocare il Cavallo di Fuoco con un animale vero. Successivamente i ripani provvidero a costruire un modello in legno portato sulle spalle di qualcuno; egli doveva essere molto probabilmente un uomo robusto, perché il modello pesava all’incirca 65 chili. Il cavallo venne portato “a capezza” (come si dice in dialetto) fino al 1932, anno in cui venne costruito il primo modello in legno su due ruote. I caratteri tecnici del Cavallo che vediamo oggi erano già tutti delineati; possedeva i baffi e la girandola (o girella), da cui scaturivano i fuochi artificiali più affascinanti.
Dal 1878 al 1950 l’addetto all’accensione del Cavallo fu Luigi Lucadei (membro all’epoca della confraternita di Misericordia) che proprio per il suo ruolo venne detto “stuppì” (miccia). Ormai, dopo oltre duecento anni di rievocazione del Cavallo di Fuoco, questa festività aveva assunto i caratteri del “giorno dell’anno”. L’importanza che aveva raggiunto la sagoma vera e propria, era addirittura equiparabile a quella data al simulacro della Madonna di San Giovanni; Luigi Piergallini, personaggio molto conosciuto di Ripatransone (a cui, dopo “stuppì” e Francesco Piergallini detto “’Ngeccù” , spettò l’onore di accendere il Cavallo) autore di libri come “Babbo, il Cavallo di Fuoco, e tanta gente ripana” , scriveva:
Durante la Seconda Guerra Mondiale non si festeggiò il Cavallo di Fuoco per cinque edizioni. Ciò ebbe ripercussioni sulla popolazione che, oltre a subire le atrocità della Guerra, non poté rievocare la festa tanto amata; sempre Luigi Piergallini scriveva: “Mi riferirono che, durante gli anni di guerra, anziani e ragazzi avevano più volte visitato il cavallo per… salutarlo […]. Era possibile che il Cavallo di Fuoco potesse rinfrancare lo spirito fra una lacrima e l’altra?”.
Prima che la rimessa ufficiale del Cavallo diventasse quella attuale, esso si trovava in una stalla o in un magazzino di cui non si conosce la posizione; gli anziani raccontano che a pochi era permesso entrare nella rimessa del Cavallo, e quale fosse lo sapevano davvero in pochi. Ciò ovviamente accresceva l’enfasi cittadina che non aspettava altro di rivedere il Cavallo di Fuoco nella domenica in albis.
Venne così usato il modello in legno fino al 1994, anno in cui l’artigiano Umberto Nucci costruì il nuovo modello in lamiera. Esso pesa 2.5 quintali, è lungo 3 metri e alto 2.50. Quest’ultimo modello di Cavallo genera fuochi molto più spettacolari dei precedenti e specialmente grazie ad esso, l’afflusso di persone a questa manifestazione è cresciuto vertiginosamente.
Maggiori informazioni su cavallodifuoco.com